10 febbraio 2019

Effetti dell'attività subacquea sul cervello (parte 2)

di Jenna Wiley
Continuiamo a indagare la eventuale relazione tra lesioni acute da immersione e complicazioni neurologiche. La questione è ancora irrisolta. Poniamo agli esperti una seconda serie di domande per capire meglio gli effetti dell'attività subacquea sul cervello.
Qual è la relazione tra una riduzione delle facoltà neuropsicologiche e la presenza di lesioni cerebrali?
Moon: Finora, nessuno ha provato che nei subacquei esista una tale relazione.
Uzun: La presenza di lesioni cerebrali non indica necessariamente una riduzione nelle funzioni neuropsicologiche. È pur vero che ci sono studi che confermano una correlazione tra lesioni della sostanza bianca e deterioramento cognitivo negli anziani, e che altri suggeriscono che le lesioni della sostanza bianca periventricolare siano predittive di un futuro sviluppo della demenza; ma è anche vero che gli studi valutativi del rapporto tra lesioni cerebrali e funzioni neuropsicologiche nei subacquei non hanno trovato alcuna correlazione.
Tetzlaff: Si è scoperto che il deterioramento delle funzioni esecutive e della memoria è strettamente associato alle lesioni cerebrali della sostanza bianca.
Qual è la relazione tra apnea volontaria, ipossia, e la possibilità di lesioni cerebrali negli apneisti?
Moon: Quando un apneista raggiunge la superficie, il suo livello di ossigeno nel sangue può essere tanto basso (ipossiemia) da causare la perdita di conoscenza per qualche secondo. È possibile che il ripetersi di tali episodi ipossici provochi un danno cerebrale cumulativo.
Uzun: Ci sono delle ricerche sui danni cerebrali negli apneisti. Recentemente, uno studio (Andersson et al., 2009) ha rilevato un incremento, subito dopo l'apnea volontaria, nei livelli sierici della proteina S100B, un marcatore di danno neuronale. I ricercatori ipotizzano che questo possa segnalare un danno neuronale da ipossia o un temporaneo deterioramento della barriera emato-encefalica. Ma non è ancora chiaro se l'apnea volontaria sia causa di danni cerebrali a lungo termine.
Tetzlaff: Trattenere a lungo il respiro riduce l'ossigenazione del cervello. Gli studi sulle apnee ostruttive del sonno provano che l'ipossia intermittente è associata a declino cognitivo e a infarti cerebrali silenti, che riguardano soprattutto la malattia cerebrovascolare dei piccoli vasi. Tuttavia, a differenza dei pazienti con apnea ostruttiva del sonno, gli apneisti non sembrano sviluppare uno stato permanente di attivazione del simpatico o di riflessi cardiovascolari rilevanti. L'incremento nella concentrazione sierica della proteina S100B (un marcatore di danno cerebrale) dopo apnee estreme, effettuate da apneisti di altissimo livello, potrebbe indicare la probabile compromissione della barriera emato-encefalica. Ma la S100B è un marcatore non specifico e può essere aumentata da lesioni extracraniche. L'apnea estrema, così come viene effettuata dai grandi apneisti, è causa di notevole stress sui sistemi cardiovascolare e respiratorio. Va detto che l'apnea estrema è un'attività pericolosa che può avere conseguenze gravi, tra le quali un danno cerebrale a lungo termine è la meno preoccupante.
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L'attività subacquea a quali rischi espone il sistema nervoso centrale di una persona?
Moon: Il rischio più grande, anche se basso, è la malattia da decompressione (PDD) cerebrale. Può essere conseguente o a MDD, con le bolle formate nei tessuti e nei vasi sanguigni che potrebbero arrivare al cervello, o a embolia gassosa arteriosa (EGA), dove le bolle risultano dalla lacerazione degli alveoli dovuta al trattenere il respiro durante la risalita o a malattie polmonari.
Uzun: Le immersioni con autorespiratore sono associate a diversi rischi neurologici, tra i quali la MDD, l'EGA, l'anossia e la sindrome nervosa da alta pressione.
Tetzlaff: I danni più gravi per il sistema nervoso centrale sono prodotti dall'embolia gassosa delle arterie cerebrali, che può essere rapidamente innescata da un'EGA conseguente a un barotrauma polmonare o al riversarsi di emboli gassosi venosi nella circolazione arteriosa (come può accadere in caso di presenza di FOP). Anche un'embolia silente dei microvasi cerebrali con bolle di gas inerte può causare danni permanenti. Vale a dire che immersioni tranquille ed entro i limiti di non decompressione dovrebbero ridurre al minimo i rischi per il sistema nervoso centrale.
I subacquei con autorespiratore che non hanno mai avuto una PDD si devono preoccupare per danni cumulativi a lungo termine dovuti alle immersioni?
Moon: No.
Uzun: No. Al momento non c'è nessuna prova convincente che l'attività subacquea con autorespiratore provochi danni cerebrali a lungo termine in subacquei asintomatici.
Tetzlaff: Non c'è motivo di preoccuparsi. Come abbiamo spiegato prima, una malattia ischemica dei vasi cerebrali può derivare da bolle di gas dovute alle immersioni, ma immergersi entro i limiti consigliati e seguendo le procedure consigliate dovrebbe prevenire questo tipo di problemi.
Incontra gli Esperti
Richard Moon, MD, si è laureato in medicina presso la McGill University di Montreal, Canada. È professore di anestesiologia e medicina e direttore medico del Centro di Medicina Iperbarica e Fisiologia Ambientale presso il Duke University Medical Center a Durham, N.C.
Kay Tetzlaff, MD, è professore associato di medicina nel dipartimento di medicina dello sport presso l'università di Tubinga, in Germania, e consulente di medicina iperbarica e subacquea.
Günalp Uzun, MD, è professore associato di medicina subacquea e iperbarica presso il GMMA Haydarpasa Teaching Hospital di Istanbul, in Turchia.
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La ricerca attuale

Per capire meglio gli effetti dell'attività subacquea sul cervello, i ricercatori DAN hanno iniziato uno studio che prevede lo screening dei subacquei per gli effetti acuti delle immersioni sulle funzioni esecutive. Lo scopo dello studio è valutare le eventuali disfunzioni neurologiche dopo immersioni estreme in apnea e immersioni profonde con autorespiratore in subacquei asintomatici.

Tabacco e asma

Quando si tratta di immersioni, l'asma è considerata un problema perché comporta reattività delle vie aeree con associata ostruzione delle piccole vie aeree, che potrebbe causare un barotrauma polmonare o l'annegamento. La visita medica di idoneità all’attività subacquea deve prendere in considerazione l'asma in modo specifico. I medici subacquei possono fornire delle linee guida per una valutazione corretta. D'altra parte, fumare tabacco è tra le principali cause di malattia polmonare ostruttiva cronica, anche se l’argomento è oggetto di minore attenzione e mancano linee guida specifiche. Da qualche tempo riceviamo richieste di informazioni sulla funzione respiratoria negli asmatici e nei fumatori, su quali siano le differenze e quali le conseguenze nella valutazione dell'idoneità ad immergersi.


Malattia polmonare ostruttiva 
Sia l'asma che il fumo comportano il restringimento e l'infiammazione delle piccole vie aeree, con conseguente riduzione del flusso d'aria nei polmoni. Con l'asma, la riduzione è intermittente ed è reversibile, mentre con il fumo “cronico” il flusso d'aria si deteriora in maniera progressiva, irreversibile e, finché si è giovani, spesso asintomatica. Con l'invecchiamento, in circa il 20% dei fumatori e il 23% dei malati d'asma compare la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), caratterizzata appunto dall'ostruzione permanente del flusso d'aria.
L'asma si manifesta prevalentemente in età giovanile con episodi ricorrenti di ostruzione delle vie aeree, di varia intensità e frequenza, che diminuiscono in età adulta. L’asma che insorge in età adulta colpisce individui dai 20 anni in su, ed è in genere causata da allergie. Un attacco d'asma può essere provocato da sforzi fisici, dall'inalazione di aria fredda e secca o di aerosol ipertonici (soluzioni saline usate negli esami diagnostici per provocare una reazione). Le vie respiratorie reagiscono con infiammazioni, iperproduzione di muco e contrazione dei muscoli che le circondano. Il flusso respiratorio può ridursi del 10-20% nei casi più lievi, e del 40% in quelli più gravi. In alcuni casi la funzione respiratoria può sembrare normale, ma i test di provocazione evidenziano iperreattività e riduzione del flusso espiratorio. Il restringimento delle vie aeree si cura con farmaci antinfiammatori e broncodilatatori. Farmaci antinfiammatori come gli steroidi per via inalatoria riducono il gonfiore e la produzione di muco; alleviano così i sintomi, migliorano il flusso d'aria e diminuiscono la reattività ai fattori scatenanti (freddo, aria secca, ecc.). Gli attacchi d'asma possono essere fermati dai broncodilatatori, beta-agonisti a breve durata di azione che rilassano i muscoli bronchiali e dilatano le vie aeree facilitando il flusso d'aria.
L'asma indotta dall'esercizio fisico si può prevenire con beta-agonisti a lunga durata d'azione. Tenuta sotto controllo, l’asma non impedisce di condurre una vita normale, con attività fisica e immersioni subacquee.
Fumare tabacco si ripercuote sulla respirazione sia in forma cronica che acuta. Gli effetti acuti comprendono l'aumento del monossido di carbonio e la diminuzione dell'ossigeno nel sangue, nonché la paralisi delle ciglia delle vie aeree e la conseguente compromissione della rimozione del muco. Il muco può bloccare le vie aeree terminali e causare la sovradistensione degli alveoli durante la risalita in un’immersione, esponendo il subacqueo al rischio di embolia gassosa arteriosa (EGA). Nei fumatori come negli asmatici, l'iperreattività delle vie aeree (rilevata dal test con metacolina) può essere presente già in giovane età. In adolescenti con una breve storia di tabagismo è stata rilevata una relazione dose-risposta tra fumo e ridotto flusso respiratorio (FEV1/FVC e FEF 25-75). I ragazzi che fumavano più di 14 sigarette al giorno mostravano una riduzione nel flusso respiratorio e nel volume di aria nei polmoni (FEF 25-75) mediamente del 4%, e in alcuni casi fino al 7%. Si rilevò che fumare un pacchetto di sigarette al giorno per un anno implicava per la funzione polmonare una perdita di FEV1 dello 0,36% negli uomini e dello 0,29% nelle donne. Anche in fumatori giovani, tra i 30 e i 40 anni, possono presentarsi manifestazioni cliniche e patologiche simili a quelle delle prime fasi della BPCO.
Nel valutare l'idoneità alle immersioni bisogna considerare che le persone convivono con l'asma; è una condizione con un moderato fattore di rischio e non necessariamente un motivo di esclusione dall'attività subacquea. Fumare tabacco è invece una questione di scelta; ai subacquei viene sconsigliato, ma alcuni ancora lo fanno. A quali rischi si espongono? E cosa si può fare?

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Ci sono prove che l'asma o il fumo aumentino il numero di incidenti come barotraumi ed EGA?
Claus-Martin Muth: Sebbene sia logico pensare che il fumo aumenti il rischio di incidenti decompressivi, non ci sono prove certe. Ma i ricercatori del Duke University Medical Center possono dimostrare che quando capita un incidente decompressivo il fumo è un fattore di rischio, perché acuisce la gravità dei sintomi.
Inoltre, dobbiamo considerare gli effetti che il fumo ha sul sistema cardiovascolare, in particolare la vasocostrizione, che diminuisce la perfusione tissutale. Ci sono prove scientifiche che ciò ha effetti sul tasso di eliminazione dell'azoto, con possibile aumento del rischio di lesioni da decompressione. I subacquei hanno un motivo in più per non fumare.
La risposta riguardo l'asma è “dipende”. Ogni individuo è diverso, e la valutazione dell'idoneità ad immergersi di un soggetto asmatico richiede analisi accurate per ciascun caso particolare. I subacquei asmatici devono sapere come comportarsi e come usare un misuratore di picco di flusso per monitorare le vie aeree prima di immergersi.
Tom Neuman: Sebbene siamo portati a supporre che l'asma aumenti il rischio di EGA nei subacquei sportivi, non ci sono prove attendibili che un asmatico che effettua controlli e cure adeguate corra rischi maggiori di chiunque altro. La pubblicazione più completa sull'argomento, dal titolo “Are Asthmatics Fit to Dive?”, è il risultato di un workshop organizzato dalla Undersea and Hyperbaric Medical Society, le cui conclusioni indicano che gli asmatici con valori normali nei risultati dei test di funzionalità polmonare (che abbiano o meno preso farmaci) possono fare immersioni. Fumare tabacco comporta, in teoria, il rischio che il danno alle vie aeree (ostruzione reversibile o irreversibile) potrebbe creare un'occlusione sufficiente a innescare un'embolia gassosa anche in una risalita normale. Al momento non ci sono prove che i fumatori con funzionalità delle vie aeree nella norma rischino un'embolia gassosa più dei non fumatori.

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Ci sono differenze negli effetti che l'asma e il fumo di tabacco hanno sul sistema respiratorio e sui pericoli che ne deriverebbero nelle immersioni?
Muth: I problemi centrali sono stati già menzionati nell'introduzione di questo articolo. Nei fumatori non solo è presente un'infiammazione, ma è compromesso il meccanismo di pulizia delle vie aeree; il denso muco bronchiale può creare un meccanismo di intrappolamento dell'aria sotto forma di un'ostruzione parziale che, come una valvola, consentirebbe l'ingresso dell'aria nel segmento interessato ma non la sua uscita. Negli asmatici il problema è più generale: se il tratto respiratorio reagisce a uno stimolo come l'aria fredda e secca, che è tipica delle immersioni, l'intrappolamento dell'aria può avvenire in un punto qualsiasi dei polmoni.
Neuman: L'asma è generalmente caratterizzata da una parziale ostruzione causata da costrizione meccanica delle vie aeree, aumento della produzione di muco ed edema. Tale processo è di solito completamente reversibile e prevenibile con le cure adatte. D'altro canto, i danni dovuti all'inalazione di fumo di tabacco hanno sia componenti reversibili che irreversibili. Una volta che il fumo ha prodotto danni strutturali alle vie aeree, gli effetti sui polmoni sono spesso non reversibili e la persona continuerà ad avere un difetto ostruttivo che potrebbe aumentare il rischio di EGA. Ma ancora non sono stati fatti studi attendibili che indichino quanto sia reale questo rischio teorico.
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L'attenzione normalmente data al fumo nelle visite di idoneità medica è adeguata o bisognerebbe cambiare qualcosa, dare maggior rilievo a questa condizione? 
Muth: Nonostante gli effetti del fumo siano ampiamente dimostrati, il numero degli incidenti subacquei, anche fatali, è piuttosto basso, mentre il numero di subacquei che fumano è piuttosto alto. Credo sia più utile pubblicare articoli come questo e dire ai fumatori che fumare e andare sott'acqua non è proprio un'idea geniale. I subacquei devono evitare di fumare sia prima che subito dopo l'immersione. D'altronde, l'esame della funzionalità polmonare dovrebbe essere parte di tutte le visite di idoneità alle immersioni; se la funzionalità è compromessa, a seconda del livello del danno bisognerebbe sconsigliare l'attività subacquea. È noto che il fumo danneggia la funzionalità polmonare, e i fumatori potrebbero dover smettere di immergersi prima di quanto vorrebbero.
Neuman: La questione della visita di idoneità per un asmatico è abbastanza semplice. Per l'asmatico che vuole diventare un subacqueo è prevista una normale spirometria sia prima che dopo uno sforzo fisico, senza necessità di altri esami. Questo tipo di analisi probabilmente è indicato anche per chi fuma molto e da molto tempo, mentre per il fumatore occasionale asintomatico ed con esiti normali alla visita medica può non essere necessario. Da un punto di vista strettamente numerico, il fattore di rischio più elevato per i subacquei di mezza età è una malattia coronarica non diagnosticata. Chiunque voglia praticare attività subacquee dovrebbe sottoporsi a una valutazione dei fattori di rischio per una malattia coronarica. Se dovessero essere presenti fattori di rischio clinicamente rilevanti, bisognerebbe procedere a indagini più approfondite per una malattia coronarica occulta.

5 febbraio 2019

Effetti dell'attività subacquea sul cervello (Parte 1)

di Jenna Wiley
Se l'attività subacquea possa avere effetti deleteri a lungo termine sulla salute è una questione che riemerge di tanto in tanto, ma rimane ancora senza risposta. È risaputo che le lesioni acute da immersione possono avere complicazioni neurologiche, ma ci sono studi che mostrano lesioni nel sistema nervoso centrale di subacquei che non hanno mai sofferto di malattia da decompressione (MDD). Si tratta di lesioni cerebrali subcliniche, “macchie bianche” rilevate tramite risonanza magnetica (RM), uno strumento molto sensibile alle variazioni cerebrali. Non è chiaro se siano più comuni nei subacquei che nei non subacquei, né è certo che la loro presenza abbia una qualche importanza.
In alcuni studi le misurazioni delle funzioni neurologiche dei subacquei danno risultati anomali. Le misurazioni riguardano valutazioni neuropsicologiche come test di memoria e concentrazione, elettroencefalogrammi (EEG, che rilevano l'attività elettrica nel cervello), tomografie computerizzate ad emissione di fotoni singoli (SPECT, che misurano il flusso ematico cerebrale). Nello studio “Memory Dive” condotto a Ginevra (Slosman DO et al., 2004), la riduzione del flusso ematico cerebrale e delle facoltà neuropsicologiche è risultato associato a una storia di immersioni frequenti (più di 100 all'anno), profonde (a più di 40m) e all'ambiente di immersione (acque fredde).
È difficile stabilire una relazione causale e determinare i meccanismi patologici tra lesioni cerebrali e attività subacquea. Associati a questi risultati appaiono fattori come età, traumi cranici, consumo di alcol, emicranie, fumo, ipertensione, colesterolo alto, infezioni e presenza di forame ovale pervio (FOP). Spesso, le bolle che attraversano le camere cardiache sono rilevate tramite ultrasuoni ma non provocano sintomi; tali “bolle silenti” potrebbero causare lesioni subcliniche.
Alcuni studi si sono focalizzati sul ruolo del FOP, un'apertura più o meno grande tra l'atrio destro e quello sinistro presente in circa il 25% della popolazione. Le bolle dovute allo stress decompressivo possono, in teoria, spostarsi dalla circolazione sistemica al cuore, passare dal lato destro a quello sinistro attraverso il FOP, entrare nella circolazione arteriosa e potenzialmente nel cervello. Questo è il meccanismo dell'embolia paradossa, nella quale un coagulo proveniente da una vena profonda attraversa il FOP e finisce nel cervello dando origine a un ictus. Sebbene il FOP sia considerato un fattore di rischio per le lesioni cerebrali, finora non ci sono prove certe di una relazione causale tra FOP e le lesioni silenti.
È inoltre dimostrato che anche il sistema nervoso centrale degli apneisti mostra delle conseguenze, con lesioni acute simili all'ictus ben documentate. Uno studio svedese ha mostrato che l'apnea volontaria prolungata può aumentare temporaneamente i livelli di una proteina marcatore di danno cerebrale, anche in assenza di sintomi di lesione acuta (Andersson JP et al., 2009). I ricercatori hanno proposto la teoria che l'esposizione a una forte ipossia possa provocare nel tempo danni neurologici. I rischi associati a eventi neurologici asintomatici e i loro possibili effetti a lungo termine nei subacquei rimangono incerti. Chiediamo agli esperti.
Ci sono prove di lesioni cerebrali in subacquei che non hanno mai avuto una MDD?
Richard Moon: In alcuni studi, la risonanza magnetica (RM) ha evidenziato un numero più elevato di lesioni cerebrali nei subacquei rispetto ai non subacquei. Non è ancora stata stabilita una relazione tra il numero di lesioni e il numero di immersioni, il che fa pensare che le lesioni non siano direttamente correlate con l'attività subacquea.
Günalp Uzun: Gli studi condotti negli ultimi 20 anni con lo scopo di chiarire la presunta correlazione tra immersioni e lesioni cerebrali hanno prodotto risultati contraddittori. A causa delle differenze metodologiche non è possibile combinare i dati delle varie ricerche per elaborare conclusioni univoche. Abbiamo trovato una più alta incidenza di lesioni della sostanza bianca in subacquei militari asintomatici rispetto a non subacquei (Erdem et al., 2009), confermando così risultati precedenti. Ma una correlazione positiva non implica sempre un nesso di causalità. La maggior parte di questi studi (compreso il nostro) non stabilisce alcuna relazione significativa tra le lesioni della sostanza bianca e gli indici di immersione. Anche se i subacquei dovessero avere un maggior numero di lesioni della sostanza bianca, la loro rilevanza clinica e l'associazione con sintomi neuropsicologici non sono ancora state chiaramente definite.
Kay Tetzlaff: Molti studi hanno analizzato le RM in diversi gruppi di subacquei, e molti di essi hanno trovato associazioni tra i parametri di esposizione all'attività subacquea e la presenza di lesioni cerebrali rilevate da RM. Eppure non ce n’è stato uno in grado di provare una relazione causale. Un problema alla base dei progetti di studio è il possibile errore di selezione, ossia la possibilità che le lesioni nei subacquei selezionati fossero preesistenti. Di fatto, e per assurdo, gli studi non hanno eliminato l'ipotesi che la decisione stessa di iniziare ad immergersi potesse essere il primo segno di una alterazione neuro-psicologica. Un modo per ridurre le distorsioni potrebbe essere un follow-up longitudinale di un gruppo di subacquei, dall'inizio della loro attività, a confronto con un gruppo di non subacquei, sempre tenendo sotto controllo fattori di rischio confondenti come ad esempio l'assunzione di alcol, il fumo, l'ipertensione e altro. Non abbiamo notizie di studi di questo genere.
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Qual è la relazione tra FOP e lesioni cerebrali?
Moon: Esiste una blanda relazione tra la presenza di un FOP e le lesioni. E comunque non ci sono prove che le lesioni indichino danni cerebrali.
Uzun: le cosiddette "bolle silenti", che possono essere rilevate anche dopo immersioni in acque poco profonde, non producono sintomi clinici e sono generalmente filtrate dal sistema vascolare polmonare. Un FOP, un'apertura tra gli atri destro e sinistro, può funzionare come punto di ingresso delle bolle silenti nella circolazione arteriosa. C’è l’ipotesi che queste bolle possano ostruire i piccoli vasi cerebrali e causare lesioni della sostanza bianca. In effetti, alcuni studi hanno dimostrato che i subacquei con FOP sono a maggior rischio di lesioni della sostanza bianca rispetto a subacquei senza FOP. Ai subacquei asintomatici non consigliamo di sottoporsi ad analisi per rilevare un FOP, ma per ridurre il rischio di MDD un subacqueo che sa di averlo deve attenersi a profili d’immersione conservativi.
Tetzlaff: Un PFO aumenta il rischio di malattia da decompressione (MDD) e di conseguenza può aumentare anche le lesioni cerebrali rilevate dalla risonanza magnetica. Uno studio clinico ha calcolato che in subacquei con un FOP i casi di MDD sono 4,5 volte più frequenti e l'incidenza di lesioni cerebrali ischemiche è doppia rispetto a subacquei senza FOP (Schwerzmann M et al., 2001). Va comunque evidenziato il fatto che anche immergersi con un FOP non presenta rischi se lo si fa secondo i criteri adeguati. Sottolineiamo che non è il FOP a provocare le lesioni, bensì la presenza di bolle durante o dopo l'immersione. La quantità di bolle può essere ridotta al minimo evitando fattori di rischio come immersioni profonde, con decompressione, in acque fredde.
Quali sono altri possibili meccanismi di formazione delle lesioni cerebrali note come macchie bianche?
Moon: Potrebbero essere correlate ai normali processi di invecchiamento come i cambiamenti nei vasi sanguigni.
Uzun: Le macchie bianche nella risonanza magnetica sono effettivamente comuni negli anziani. Possono essere associate a traumi cranici, consumo di alcol, emicrania, fumo, ipertensione e/o colesterolo alto. È comunemente accettato che le lesioni della sostanza bianca rappresentano un danno parenchimale dovuto a disturbi cerebrovascolari o a ischemia cerebrale.
Tetzlaff: Le iperintensità alla RM della sostanza bianca vengono considerate segnali tipici della malattia cerebrale dei piccoli vasi. I correlati patologici sono vari, e la maggior parte punta verso le iperintensità della sostanza bianca come un riflesso del carico ischemico dei piccoli vasi. Le associazioni cliniche predominanti sono con ictus, deficit cognitivo e demenza. La prevalenza di iperintensità della sostanza bianca aumenta con l'età.
L'analisi continua nella seconda parte dell'articolo, che sarà pubblicato nel numero di settembre.
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Richard Moon, MD, si è laureato in medicina presso la McGill University di Montreal, Canada. È professore di anestesiologia e medicina e direttore medico del Centro di Medicina Iperbarica e Fisiologia Ambientale presso il Duke University Medical Center a Durham, N.C.
Kay Tetzlaff, MD, è professore associato di medicina nel dipartimento di medicina dello sport presso l'università di Tubinga, in Germania, e consulente di medicina iperbarica e subacquea.
Günalp Uzun, MD, è professore associato di medicina subacquea e iperbarica presso il GMMA Haydarpasa Teaching Hospital di Istanbul, in Turchia.